AL BAR DI VIA NONIMPORTA
-Ma ciao, come stai?
-Bene dai, grazie.
-Tutto a posto si? Vita, lavoro…
-Sì, sì, dai. O Dio, a dire il vero mia moglie non è che stia proprio bene ultimamente sai, è all’ospedale, forse è una cosa seria, stiamo aspettando dei referti…
-Ma comunque tutto a posto per il resto no?
-Eh, per il resto sì dai.
-Bene dai, sono contento che stai bene allora, ci vediamo la prossima settimana per un caffè?
-Ok, ci sentiamo, in gamba.
-Ciao!
-Ciao!
NELLO STESSO ISTANTE IN UN ALTRO BAR VICINO A PISSIPISSIBAUBAU ALTRE DUE PERSONE PARLAVANO COSI’…
-Ma ti piace o no il lavoro che fai?
-Ma così così dai, son un po’ sotto stress…
-Ma comunque ti piace!
-Beh, non saprei esattamente, c’è parecchio da fare, poi è stressante…
-Stressante, che vuol dire? Non mangi più?
-Ma no dai mangio ben è che…
-Vai contento al lavoro? Riesci ad alzarti la mattina?
-Vado tutti i giorni a lavorare per quello, mi alzo ben la mattina non è che stia impazzendo, insomma, mi pesa, sto valutando se cambiare però, non è che son convinto proprio di quello che sto facendo…
-Ma sogni anche la notte del lavoro, cioè te lo sogni anche la notte?
-Ma no, non è che me lo sogno di notte, però non sono felice, ecco.
-Ma ti controlli? Perdi chili?
-Ma no, che dici! Di salute sto ben bene è che…
-E la notte comunque dormi, cioè, non è che non riesci ad addormentarti…
-No, no, dormo ben per quello! E’ che non mi convince, le mie aspirazioni sono altre, mi sento limitato, chiuso, ho dei sogni in testa…
-Ma di cosa ti lamenti scusa se stai bene? Non sei mica stressato sai!
-Ma no, non è quello il problema, non è che sono ultra stressato, lo so ben anch’io che non è quello il problema…
-E qual è allora?
STESSO ISTANTE, NEL BAR DEL BLABLA DI VIA PICCIPI’
-Cos’hai amore?
-Ma no, niente…
-Ma no dai dimmi…
-E’ che…ma no niente.
-Dai, sono tutto orecchi.
-No, dai lascia perdere, mi vergogno.
-Vergognarti perchè? Dimmi, non aver paura.
-E’ un discorso lungo, mi sento sciocca…
-Ma perchè sciocca?
-Temo che non mi potresti capire…
-Ma va là! perchè dubitare? Certo che ti capirò!
-Ma no, dai davvero, lascia stare.
-E invece no, se c’è un problema bisogna parlarne.
-Ma non è un problema, o forse si…
-Dimmi…
-No, dai, ci ho ripensato…
-Forza, vogliamo stare qua tutta la mattina?
E, SEMPRE NELLO STESSO MOMENTO, PER STRADA…
-Vorrei lasciare l’università…
-Sul serio?
-Ma sì, è che sono un po’ in crisi…
-Ma è un momento, vedrai che passa!
-Ma davvero, faccio una fatica, poi odio quello che faccio…
-Ma bisogna tener duro, è un momento!
-Non sono sicura che sia solo un momento, è da un po’ che ci stavo pensando…
-Ma hai le tue cose?
-Ma sei scemo?
Giacomo
Quante conversazioni… e raramente un dialogo!
c’è poco ascolto io credo. anche quando ci prendiamo il tempo per parlare lo facciamo come un lavoro, della serie “ora lo ascolto, faccio questa cosa, e prima è finita prima ricomincio con i miei impegni”.
(racconto 3)
e quante volte ascoltiamo ma non ascoltiamo?
(racconto 2)
e quante altre chiediamo come stai così solo per abitudine, senza essere disposti ad ascoltare veramente i problemi dell’altro?
(racconto 1)
e quante altre pensiamo di aver già capito l’origine dei problemi degli altri?
(racconto 4)
quante volte abbiamo difficoltà di esprimerci? quante volte invece abbiamo dei sogni che non riusciamo a raggiungere e ci accontentiamo? quante altre non abbiamo la forza per cambiare una situazione che è diventata scomoda e non ci piace o ci fa soffrire? e perchè non riusciamo a parlarne?
Belle domande. Abbozzo qualche risposta (ma mi riservo la possibilità di cambiare idea! 🙂 ).
Partiamo dal fondo: perché non esprimiamo la nostra sofferenza? Forse perché abbiamo paura di risultare “pesanti” per gli altri, non vogliamo “rompere le scatole”. Come la ragazza del terzo racconto ci possiamo sentire “scocchi” perché (a volte) stiamo male senza riuscire a discernere quale sia la causa esatta del nostro soffrire, dove stia il nodo, il problema.
Altra domanda: perché non ascoltiamo? Anzitutto siamo sempre di corsa (N.B: questa non è una giustificazione, bensì una spiegazione). Poi, forse, abbiamo paura di invitare l’altro ad andare in profondità perché a quel punto dobbiamo seguirlo, accompagnarlo, insomma, andare in profondità anche noi. E magari potremmo scoprire che nemmeno noi siamo felici, che l’insoddisfazione dell’altra persona non è diversa dalla nostra, che abbiamo fatto tacere ma non per questo è scomparsa.
La tendenza nei rapporti convenzionali è quella alla superficialità. Facciamo come le bolle di sapone che quando si toccano rimbalzano l’una sull’altra, si sfiorano e se proprio proprio impattano con più forza trasportate dal vento…scoppiano!
Interessante la seconda parte Ari, mi è piaciuta la riflessione sul dover seguire l’altro in profondità. Per chi non vi è portato naturalmente (e credo esistano persone di questo tipo) scendere sotto la propria superficie è come scendere sotto la superficie del mare, con le bombole, ma senza sapere come usarle…ci si sente soffocare, si sta male, c’è un naturale bisogno di venire a galla.
Quindi si ritorna alle conversazioni…!