Sto affrontando il silenzio. Dice più di mille parole, si dice. Non è vero. Mi chiedo cosa sia il silenzio. Credo sia una gabbia, perché solo le parole rendono liberi. Usarle, s’intende. Parlare. Parlarne, delle cose che succedono. Il silenzio lega le mani, non concede molto spazio all’azione, all’iniziativa: blocca, chiude, segrega – il silenzio connota il segreto. Priva di identità, di un volto, chi assume il silenzio o chi lo subisce. Si può decidere di stare in silenzio, di chiudere le ali alle parole e al loro potere di cura. Si può subire il silenzio di un altro, riconoscere che qualcuno priva un altro della parola e non violare quella gabbia. Si può provare ad allargare le sbarre, se non si ha resistenza da parte del prigioniero. Non ha parole, il silenzio, per questo quello che avviene durante il silenzio è irrazionale. Non è vero che si può interpretare. Stiamo sul pezzo, il testo è importante e non c’è sottotesto senza testo, non c’è struttura senza sovrastruttura. Non c’è reazione senza azione, ma il silenzio è la nemesi dell’azione, l’apologia del vuoto consapevole. Una violenza.
Mi chiedo cosa sia il silenzio, o forse solo il suo perché?
Gianmarco
Che dire il tuo scritto è bello!
un cordiale saluto !!!
Il silenzio a volte pulisce, dalle parole che feriscono (a volte, controvoglia). Il silenzio a volte è necessario per fare spazio, ri-centrarsi. Però fa male, a volte: allora, rompilo. Fregatene dell’etichetta.
Un abbraccio