ora sono morti.
Piango i cadaveri
come fossero
i più cari compagni
di questa mia vita.
uno in fila all’altro
sulla coda del tempo;
come cadaveri.
Anzi cadaveri,
di me stessi che ora non sono,
dalle mie scelte spenti.
ed una foglia
che prende commiato
Mi mancano quei me stesso che ero,
come l’aria li penso,
li frugo e li cerco
Eppure mi accorgo
che sono morti
e che ora io
sono tutt’altro.
un me stesso fugace
che già crepa
– lo stesso
un verso più in là –
diverso dai prima
dai quando
e più non saranno.
Rimane il peso
morire;
di questo crescere
trovare, scoprire,
vivere, essere
di questo nuovo
che accomiata
esclude
ciò che è stato,
senza ritorno.
mi manco in ogni squisito frangente
irripetibile attimo
Amo il mio passato
ne amo i dettagli
alla mia mente
(quanti sono?)
In questo eterno morire
sento grande vecchiaia,
di migliaia di vite
rapidissime
una aggrappata all’altra
Mi sento
un vecchio
nel cimitero dei propri se stessi.
(Quante storie diverse!)
Ecco:
che porta i fiori
su ogni tomba
e s’inchina profondo
e mentre prega
muore e muta ancora
nella speranza
non siano vane.
Forse dovrei
eppure indugio poiché
tra quei sentieri a grani bianchi
di un senso
come una storia
che trapela dalle foto ingiallite
e che è la mia storia.
La storia di questo
che è il mio presente.
ma su questa sponda
del mio sentire
è un trapasso
ed una foglia
che prende commiato.
Questa poesia è dedicata a tutte le persone che ho incontrato in questa parte della mia vita, a tutte quelle persone che ho sfiorato anche solo per una frazione di me stesso o di secondo, che in fondo è la stessa cosa.
Giulio
bellissima. (anche la gallery)
bellissima…
Concordo.
Molto efficace l’immagine delle morti continue…
Erano mesi che dovevo buttare fuori questa cosa e non riuscivo a definirla, mesi che cercavo di strutturare questa sensazione che a volte mi prende e mi ferma lì dove sono, a guardarla. Poi l’altra sera è venuta fuori, una vera fortuna.
Avevo selezionato un’altra trentina di fotografie da inserire, tuttavia le parole erano meno delle immagini, che sono infinitamente meno delle sensazioni che mi sono rimaste di questa vita!
Bella Giulio, mi ha colpito particolarmente in questi giorni dove mi scopro estraneo (ancora una volta) nella città dove ho vissuto appena 4 mesi fa… dove le esigenze, le percezioni e la vita sono cambiate, o meglio dove il mio io è mutato e ha lasciato il posto ad un nuovo me stesso.
a presto
Rob
A presto, Rob!
Sai, rileggendo, mi viene in mente la metafora della scultura come “arte a levare” di Michelangelo. Nel blocco di marmo c’è già l’opera d’arte, ma per renderla visibile bisogna togliere (non aggiungere!) materiale, potare possibilità che resteranno e devono restare inespresse, per permettere l’espressione di quell’unica possibilità che diventerà noi, per un attimo.
Grazie per aver condiviso con noi questa poesia, Giulietto, e anche le foto!
Quanto ti è costato in funerali tutte queste morti?
Questo tuo commento mi ha fatto spaccare dal ridere, anche perché visualizzo anche il tuo indirizzo mail! Al lato economico non avevo pensato 😛
Giulio….mi hai lacerato nel profondo…un abbraccio. Stefania
Ciao Stefania, “lacerare” mi preoccupa un po’ come termine! Ma se vuol dire che ti ha colpito, son contento 😛
Un abbraccio, G.
😀 si, volevo dire quello..:-D essere colpiti o lacerati comunque sono due cose entrambe abbastanza “violente”…un abbraccio.
E’ molto bello leggere quello che scrivi!
Hai ragione, anche colpire è violento 😛 Sarà però che lacerare mi da proprio l’idea delle ferite che non si rimarginano, che te l’ho detto!
Un abbraccio Stefania!
G.
Giulio! Penso che sia la poesia che mi piace di più tra quelle che hai scritto. Mi piacciono le parole, mi piace la sensazione “spezzata” che trasmettono i versi, mi piace il fatto che tu abbia affiancato alla poesia foto legate alla tua vita (così sembra quasi che la poesia sfoci nel mondo del cinema, sai?), mi piace… Tutto! 😉
Un abbraccio!
Grazie Lucio, ho molto apprezzato questo tuo commento. In effetti le immagini legate alla poesia sono molto potenti…devo pensarci su! Un abbraccio, G.
Riflettevo tra l’altro sul significato etimologico del termine esperire, ex-perire e cioè “morire attraverso”. Attraverso cosa? Morire attraverso il tempo, oppure attraversando. Come se la meta fosse la morte, in qualche modo.
Questa morte attraverso mi accompagna nei versi, è la morte continua delle immagini riflesse di me stesso.
Giulio