Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d’argento
fine Settecento ti regalerò.
Se ne sta lì, con lo sguardo basso, e dice “sono incazzato, sai” con un accento così lontano, così clandestino, così… pieno di rabbia. Si arrabbia. La sua vita è una miseria. Dentro la galera è una miseria, fuori una miseria, al punto che quasi ti vien voglia di andare a chiedere di tornarci dentro e di scontare quel che manca subito, senza aspettare. Tornare a casa non è possibile, “troppe persone a cui spiegare che non ce l’ho fatta”, prima bisogna mettere da parte un po’ di soldi. “Voglio indietro i contributi, ho lavorato dieci anni regolare e prima di andare voglio indietro i contributi che ho versato”. Non me lo dici, ma so che spacci. “Ma poi, non so, c’è qualcosa nella mia testa… che non funziona. I medici non lo capiscono, quando mi prendono i pensieri ho voglia di far male alla gente o di suicidarmi.” Sorride, con il sorriso della verità. Vero e amaro. E ancora vero.
Figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio.
“E’ possibile, tuttavia, è già successo, che una persona sappia una cosa che nessun altro sulla Terra sa.” Quando dice quella cosa, tutti gli danno del pazzo, ma lui sa che è così, è proprio così e non ci sono ragioni. Non ci sono nemmeno persone. “Persone? Quali persone? Mi ricordo, delle persone nel vecchio mondo, quando tutto era luce, quando esistevo. Non come adesso, che sono morto, e che le persone non esistono, sono dei fantocci, simili ai vecchi loro stessi, eppure diversi per i piccoli particolari… tu ad esempio: tu eri simile. Ma un po’ diverso, parlavi in modo più pacato. Quando sogno, sogno del vecchio mondo. Ma qui tutto è falso, tutto è morto, nessuno mi è davvero vicino.” Ti abbraccio e ti bacio sulla fronte. Avrei voglia di piangere, di scrollarti di dosso la malattia, di farti tornare a sentire ciò che non ha mai smesso di esistere. “Non sei male, come fantoccio del vecchio te stesso. Sei più dolce però.” Fai una smorfia, amara, come di chi sa come vanno le cose.
Und einige krapfen
frùer vor schlafen
und erwachen mit walzer
und Alka-Seltzer fùr
dimenticar.
Mettere l’apparecchio acustico a diciotto anni non è facile. “Mi fa male alle orecchie e in più sai che c’è? Ci sento peggio di una volta. Con l’apparecchio sto perdendo quel poco di udito che mi rimane. Forse quel medico bravo, quello specialista trova una cura. Forse, lo spero.” L’apparecchio con la pila nuova fischia come un fischio di un fischietto, ma piano. Forte solo nell’orecchio. “Mi fa venire il mal di testa e al lavoro mi da fastidio: in fabbrica sento ogni cigolio, ogni scricchiolio di ogni macchinario.” Mentre parliamo, mi leggi il labiale, a compensare con la vista quello che la tua vita (acerba e minuta) ti ha tolto. Battere la testa e perdere le orecchie, per un po’ di velocità sulla neve. Poi ti decidi e da un cofanetto estrai due fagiolini di plastica, praticamente non si vedono. “Gabriele” bisbiglio quasi senza voce. Alzi gli occhi e mi guardi. Ora mi senti davvero.
Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar.
Le storie dei poveri, mi fanno rabbia. Rabbia. RABBIA. Gli ultimi saranno i primi, eppure mentre raggiungono il podio vengono calpestati e ricalpestati dai passi di tutti i penultimi, i terzultimi, i quartultimi, i quintultimi, i sestultimi, i settultimi, gli ottultimi, fino a quando non so più come si dice. Passati al setaccio e svuotati della forza di vivere e di provarci. Tutto questo mi fa rabbia, soprattutto quando succede proprio qui, dietro l’angolo di casa, dove tutti vedono e non vorrebbero vedere e quindi non vedono. Va tutto bene. Eppure.
Le uniche parole che sento davvero reali sono “rabbia” ed “eppure”.
Cantami di questo tempo
l’astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l’odore
di questo motor
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi , femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu.
Citazioni da “Ottocento” di De Andrè.
Giulio
Mi è piaciuto molto questo post, Giulietto: intenso e vero. Capisco la rabbia, e ti auguro di trovare il modo di darle una forma sopportabile, affinché non ti schiacci. Un abbraccio!
anche noi schiacciamo gli ultimi? me lo sto chiedendo e ho paura di trovare una risposta che non mi piace.