Mentre giocherellavo con gli spiccioli lasciatimi da Rosina, vidi una figura rassicurante venire verso di me in bicicletta: era il parroco del paese, don Matteo, che aveva sempre parole di conforto per i poveri e gli esclusi, oltre che buoni indizi per il commissario di polizia.
Non è nella mia indole compatirmi e piangermi addosso, così anticipai le sue parole di pietà e commiserazione con un dilemma etico che mi tormentava negli ultimi tempi: io che amavo la lettura ed ero un assiduo frequentatore della biblioteca del paese non ero forse un ostacolo alla diffusione della cultura? Ovvero non acquistando i libri che leggevo non ero paragonabile agli adolescenti che, nel totale spregio di chi aveva perso la vita nella campagna di Russia, scaricavano illegalmente film con i loro computer? E perchè nel Vangelo non veniva spesa una parola sulla proprietà intellettuale? Il padre mi aiutò a rialzarmi da terra e mi riaccompagnò a casa; risalendo il viale orlato di carpini discorremmo di questo e di altri temi che mi angustiavano al pari del problema delle biblioteche. Giunti che fummo davanti alla porta della mia casa io lo invitai a fermarsi a mangiare una fetta di polenta abbrustolita e formaggio, ma lui mi rispose con la sua consueta cortesia che si era veramente rotto le palle delle mie seghe mentali e che sarebbe stato davvero meglio che invitassi a cena Rosina invece che lui. Detto ciò balzò in sella e partì di gran carriera verso la canonica. Io rimasi solo mentre il sole calava rapidamente lasciando calare le tenebre sull’altipiano. Un dubbio mi rodeva: come sapeva di me e di Rosina?
(continua)