Ari, io ti capirei se tu oggi mi dicessi quanto è difficile (o meglio, fastidioso), per un’italiana, camminare per le strade di Parigi e dover sopportare i cugini d’oltralpe che ti chiedono: “Ma come?!? Ancora?!?” e magari aggiungono pure: “vous êtes ridicules!“. Io ti capirei, se tu mi chiedessi incredula se è rimasta ancora della dignità.
Ari, io ti capirei se tu mi dicessi che cambi idea e ti fermi lì, e non torni in Italia. Ti capirei anche se cercassi di consolarmi, da lì, che in fondo no, non è come sembra, tutto rose e fiori, che anche la gauche non ha meno problemi di quella italiana (ammesso che in Italia esista ancora).
Ari, ti capirei anche se tu mi chiedessi stupita “che cos’è questa storia dei giaguari?”, ché da lì ti sembra così ridicola, lo so, e mi immagino una risposta farcita di armadilli, castori, ornitorinchi – ma soprattutto di grandissimi vaffanculo.
Ti capirei, e non saprei davvero cosa risponderti: in questi due giorni passati ho pensato, e penso, tutto il peggio possibile.
Di una cosa però sono certo: qualunque cosa accadrà nei palazzi, per il momento tocca ancora a noi, precari, improbabili e sognatori, rimboccarsi le maniche e continuare a lavorare per salvaguardare quel poco di sanità e scuola pubblica che rimane, quei diritti sociali conquistati a fatica, quel poco di ambiente che ancora ha la caparbietà – quella d’un amore non ricambiato – di ospitarci. Ari, noi ti s’aspetta. Ricominciamo dai ragazzi, dai percorsi nelle scuole, riportiamo il teatro nelle periferie urbane, ché di realtà da raccontare, e trasformare, ce n’è in quantità.
Dico questo senza vittimismi, mi conosci.
Ma con una parola ben stampata nella mente: “indignazione”.
Oggi, a Parigi, salutate Stéphane Hessel. In Italia sono ancora troppo occupati a pensare ai nani per essersene accorti, ma almeno tu, che sei lì, porta l’ultimo saluto anche da parte nostra a lui, gigante di dignità e resistenza.
Io, per quel posso, un piccolo regalo a chi ci segue lo faccio, ed è questo testo. Sono poche pagine, ma quelle poche sono dei macigni. Scaricatelo, leggetelo, diffondetelo.
Ma soprattutto, portatevi dentro quel grido, “indignez-vous!“, ché senza indignazione non ci può essere resistenza.
“Sartre ci ha insegnato a ricordare:
Voi siete responsabili in quanto individui.
Era un messaggio libertario.
La responsabilità dell’uomo che non può affidarsi
né ad un potere né ad un dio.”
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Suocerins! Ma sei un mito!
Ovviamente condivido… insieme all’indignazione però fondamentale è anche la speranza, di potercela fare, almeno ogni tanto, qualche volta, in qualche contesto e cambiare – in meglio – le cose.
I miei colleghi che nei giorni precedenti le elezioni ridevano (com’è normale) di Berlu, nel post-elezioni fanno molta attenzione a non nominarlo neanche per sbaglio, perché hanno paura che i miei nervi non reggano 🙂
Alla vista delle prime proiezioni, che davano Berlusconi in testa, ho dichiarato: “Sono disperata, mi vien voglia di piangere”. Stupiti (perché in una democrazia matura non si dovrebbe essere disperati se vince un partito avversario), hanno provato a scherzarci su ma poi hanno capito che ero sincera. E ora mi trattano con estrema delicatezza, come se fossi reduce da un dramma famigliare.
nuoretins, ti capisco sempre di più!… con qualche riserva sull’affidarsi alla speranza: in questi giorni sto dispensando a piene mani una riflessione di wu ming che giro anche a te: «Armarsi di pazienza, ossigeno, immaginazione. Speranza no, quella è controproducente. Scarponi e zaino semivuoto, camminare domandando.». e comunque spiegherei ai tuoi colleghi che, sulla base della nostra legge elettorale il concetto di democrazia, qua, temo sia molto più vicino all’idea di “dittatura della maggioranza” piuttosto che al pluralismo di idee…
Ari, non ho altro dal aggiungere. Ha detto tutto adp.
Simone, scusa se ho editato il commento. preferisco, per vari motivi che un giorno ti racconterò a voce (non ultimo il tuo post di qualche tempo fa…) mantenere il più possibile l’anonimato sul nome.