A morire a trent’anni, di colpo, d’infarto
domenica mattina.
Tra l’acqua dei piatti, il caffè, l’abbraccio
della ragazza.
Come si fa
nel mentre che niente
proprio niente
niente di strano: niente.
Niente diverso da niente
solo
morto, a trent’anni, così
dall’oggi al domani, cioè ieri
ma ancora oggi
e probabilmente domani
staremo qui allibiti increduli a stropicciarci gli occhi:
come si fa
a vivere
per lei, loro, ma anche noi, adesso
come si fa.
Arianna
Foto: Gegio
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Pubblicato da arikita
Che ci faccio qui, su questo pianeta? Di preciso non lo so. Me lo chiedo spesso, però. Per ora sono arrivata alla conclusione che sia per contribuire a rendere la realtà interna (me stessa) ed esterna (il mondo in cui vivo) un posto più accogliente per tutti. Per sentire mie le battaglie combattute in nome dell’uguaglianza, della libertà, della giustizia. Per esercitare la compassione e provare a comprendere.
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Quando ci si scontra con la violenza dell’assurdo spesso si invoca il divino a consolazione, io credo che invece si debba levare alto il canto universale della nostra fragile umanità.
Bello. E vero.
Siamo tutti fragili, precari, mortali.
Con questa consapevolezza, stare vicini, finché ci siamo, diventa ancora più essenziale.
Come si fa,
eppure si fa,
nonostante tutto si va,
avanti.
Come fosse stato un sogno,
poco a poco
o un’altra realtà.
Strano animale l’uomo, a fare tutta questa abitudine alla sofferenza, a dimenticarsi la morte, ricordarsela, dimenticarsela di nuovo, fino alla morte.
Eh sì, ce ne ricordiamo, lo sappiamo, non ci pensiamo.
Ci coglie, in ogni caso, di sorpresa. Impreparati.
Soprattutto quando capita così.
Parole di carta che raccontano molto. Forse un velo, un passaggio, uno scoglio, la tempesta. La vita… ci sono passato… forse, si fa e basta… con il tempo.
Grazie. Sì, con il tempo, in qualche modo (ognuno il suo), si fa.