Sparpagliate contieni numerose matite.
Morbide
strali di grafite
che lasciano il segno
che andando
smarriscono una coda
di curve granulose
tratti sbavati
imprecisi
umanizzati.
Contieni pure le otto acca
quelle che se passano
incidono la carta
(che qui chiameremo amore o realtà)
incancellabili
ineludibili
come i ricordi più duri
quando il nero nel tempo schiarisce
ma ne rimane la pista
cicatrice.
Sei l’astuccio
dei miracoli umani
scarabocchio
teca del disegno
ancora da venire.
Sei vuota, piena, vuota
strabordi
non riesco a chiudere di te, la cerniera;
sei inconfinabile.
Gettata alla rinfusa
in una vita a forma di cartella
(come quella della scuola
enorme, colorata, con le clip)
scrivi il mio futuro.
Sei il destino
o il suo esecutore.
Allora, nell’intimità
nelle parole private
nei segreti da due
ti chiamerò semplice:
astuccio;
per sentirmi piccolino
per sentirmi ancora da venire
per ricominciare a fare grandi pance
e lettere ridicole e tonde;
per reimparare l’alfabeto.
Giulio
Bellissima, come già ti scrissi.
Solo un verso (secondo me) è di troppo:
(che qui chiameremo amore o realtà)
Secondo me questa frase toglie forza all’evocazione, all’immaginazione della parola poetica, perché impone un’interpretazione. Sottrae un po’ di libertà al lettore, ecco.
Che ne pensi?
Leggo ora 😉
Sicuramente quel verso impone una interpretazione come dici. Mi piaceva perché questa imposizione è come una corda che riporta verso la pratica materiale, verso la realtà appunto. Il lettore, in questo senso, non è libero di andare dove vuole…forse una costrizione troppo rigida 😉
Devo dire a mia discolpa che la parentesi lascia proprio quella definizione come un ramo a sé della poesia, dentro e fuori dallo scorrere dei versi. Magari anche saltabile, per chi lo volesse.