Ti fermi a pensare, ti fermi. Chiedono sempre più spesso: «Non scrivi più?». Molti hanno la gentilezza di evitare l’indagine sulle cause, ma è percepibile quel perché – lo percepisce il tuo senso di colpa. Colpa? Come se fosse un impegno che avevi preso con te stesso e che non stai onorando.
Cosa serve per scrivere? Cosa serve per creare qualcosa?
Serve una mancanza? La mancanza genera il bisogno, questa è la regola; ma la mancanza dev’essere oggettiva o basta la sensazione della mancanza? Una vita che sembri piena è una vita senza spazi di ispirazione? Ti fermi a pensare, pensi a fermarti sulle domande, non senti il bisogno di darti le risposte. Cosa mi manca per fare? Quello che ho è tutto quello che posso essere o tutto quello che posso fare?
Quello che non scrivo lo penso, lo conosco. A volte sono pensieri così complessi, idee così articolate da apparire intraducibili nel linguaggio che conoscevo. Forse il linguaggio che era mio non è più adatto a tradurre i pensieri di adesso: ho cambiato forma alla mia mente. Un’esistenza diversa, senza la solitudine del numero primo, in un luogo che senti tuo e per sempre fino a scelta contraria, una routine di sicurezza e rassicurazione, liquidi che hanno preso la forma del vuoto e colmato le lacune fonde. Paradossale come la pienezza prosciughi invece di arricchire.
Cosa serve per scrivere? Scrivere?
Quando riesci a scrivere solo dello scrivere, stai scrivendo? È scrittura? Un cane si morde la coda all’infinito e un serpente chiude il cerchio di sé. Io mi chiudo in me e niente più esce dal cerchio. Ti chiedi se quel cerchio, in fondo, non volessi crearlo da sempre. Se per caso non fosse il tuo obiettivo quello di non dovere più sentire la necessità di esprimerti. Hai una circonferenza da percorrere, un tracciato sempre disponibile, infinito, senza limite: il luogo dei punti equidistanti dal centro di te. Puoi continuare a percorrerlo accumulando circonferenze su circonferenze, verso l’alto, come una molla ben ancorata da tendere a tuo piacimento, tanto non ti sformerai mai, non ti sformerai più.
Tutto quello che hai è tutto quello che volevi fare, che volevi essere? Hai un margine di insoddisfazione non abbastanza profondo da raccogliere mancanze e generare bisogni di espressione. Forse hai solo trovato un modo diverso di colmarti, un linguaggio non verbale, fatto di gesti e persone, di quotidiano assorbimento. Forse è intenzionale pensare difficile, ti dai limiti per non confrontarti con i tuoi pensieri.
Cosa serve per scrivere?
Essere o sentirsi soli? Avere qualcosa da dire senza interlocutori disponibili? Avvertire la mancanza di qualcosa? Di qualcuno? Andare a ritroso fino alle date delle ultime scritture? E cosa trovi, se non il tempo?
Molti chiedono «Perché non scrivi più?» e io non so rispondere. Altri chiedono «Non scrivi più?» e vorrei rispondere che scrivo, ma che nessuno sa, non so, dove andare a leggere.
Faccio parte di quelle persone che pensano: “Peccato che Giammy non scriva più su Aironi” (appunto, magari scrive in altra forme da qualche altra parte, che però non si può leggere).
Non so come mai si scriva e come mai non si scriva più. Certo il dolore e la solitudine rappresentano due spinte potentissime alla scrittura. Ma possono essere anche il dolore e la solitudine altrui, che però toccano, emozionano, urlano dentro qualcosa che si è costretti a tirar fuori – e c’è chi lo fa scrivendo.
Ma si può scrivere anche della felicità… anche se forse è più difficile, perché quella si vive, beati, e non ci si sta tanto a ragionar sopra, la felicità è di poche parole.
Oppure è semplicemente un momento così, e la voglia di scrivere ti tornerà, oppure no… ma in fondo: importa davvero? Perché associ la scrittura alla ricchezza e la mancanza di scrittura (anche se nel tuo caso associata a pienezza di vita) al prosciugamento… di cosa, esattamente? Dell’ispirazione?