Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
Parole in origami attraverso la volta del cielo
Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
Il bacio si sa è dei ragazzi
che incuranti del mondo
nel bacio ne prendono parte.
Il lavoro è duro la sera
con la bici e nel freddo
con lo zaino quadrato
e la paga da poco
per arrotondare.
Coi minuti contati, le consegne da fare
è bello a vent’anni
trovare un minuto
appoggiare la bici alle scale
e salire un istante alla porta
per lasciare al piano un pacchetto
di labbra, fretta ed eterno.
Lei chiude gli occhi
prende in consegna l’amore
ché si vede
è tutto in quel bacio
e rientra di corsa alla casa.
Lui rimette il caschetto
inforca la bici e riparte
due pizze tra poco
e chissà
più tardi una cena di sushi.
La vita è un dono
il problema è scartarla
per giocarci un po’.
Solo oggi:
che bella femminuccia che sei
è proprio una femmina
parla come una femmina
che principessa
si vede che è una femmina.
Ma non si vede proprio un cazzo
si vede
una bambina che prova a stare al mondo
in un mondo
che continua a dirla femmina.
Inizierà a crederci?
Salgo correndo su per una scalinata, senza sapere dove porta. Col fiato corto arrivo in cima e quando arrivo una voce, che viene da un punto indefinito nella luce, grida “Rabbi!”. Mi fermo attonito. Mi guardo attorno, nessuno. Dietro di me, nessuno. Di nuovo, “Rabbi!”. Il maestro sono io, mi convinco, e allora faccio per parlare. “In verità, in verità vi dico…” queste parole mi escono facile, ma poi nulla, non riesco a terminare la frase. Non so come terminarla. Non trovo nulla da dire in verità. Solo, non so chi sono e perché sono salito su per quelle scale di corsa verso l’alto. Forse non c’è nessuna verità, o forse non è qui che albergano, sulla cima di queste scale. Stanco, mi lascio cadere a terra, mentre poco a poco i miei occhi si fanno adusi alla luce chiara. Ho già visto questo luogo: in fondo alla scala appena percorsa. Dappertutto migliaia di altre scale dipartono e si esauriscono in un dedalo inestricabile agli occhi. “Rabbi!” rimbomba ovunque la voce. Penso, non sono io! C’è qualcosa, qualcosa che mi spinge a rialzarmi, rialzarmi e ripartire. Ricomincio a salire.
Quella voce caverna
che avevi
costruita sapiente sigaretta
dopo sigaretta
m’è rimasta nel ventre
frammista all’intestino
legatami addosso dal nostro
legame così particolare.
Dopo una vita di merda
(dicevi “anch’io ho fatto i miei sbagli”)
io t’aiutavo
a cucire trama nuova nel giorno
a tornare all’onesto
all’umano.
Seguivi anche un vecchietto
come badante
“che spero campi cent’anni”.
Il vecchio è ancora vivo.
A quella voce caverna corrosa
avrei affidato
poesie elevate e solide
poesie che salvano con la parola.
Io lo sapevo che appresso
ti portavi la coca
come fatto privato – ancora
debolezza residua
dopo il carcere e la strada.
Lo sapevo la sera
quando giravi sudato
tentando parole stropicciate
lenzuola sporche nel mattino.
Il tuo cuore sapeva di stanco
e sulle scale di casa
s’è fatto garbuglio poi
sasso, pesante
macigno
che su quelle scale sei stato
ad attendere
i soccorsi e la morte.
Io ti ho visto soltanto
nell’intrico di tubi e di cavi,
nell’incertezza della rianimazione.
Eri già
corpo morto
voce spenta e di plastica.
Ora vedi G.R. io lo sapevo
che la coca era l’àncora
ancora alla vita di prima:
non lo sapevo però
come dirtelo
come affrontarlo
ché eri grande
ed io minuto.
Lo dicevo a metà e senza
scavare nel cuore dell’ombra
senza stare
senza risolvere.
Non sono diventato grande in tempo da salvarti la vita
con le parole e con lo sguardo.
Quando sei morto
mi sono preso amuleto il tuo portachiavi
ed ai medici ho chiesto
un trapianto
d’occhi malconci
e di voce rotta dalla vita.
I tuoi occhi e la tua voce
mi hanno reso più grande.
Giulio
Il vomere delle parole
incide un solco nei tuoi occhi.
Lo vedo mentre
squaglia la brina della notte
rugiada d’un tempo
nell’ascella del tuo stelo.
Il verde si fa
brillante come goccia
su cui prezioso inciampa
il sorgere del sole.
Così dai tuoi nascosti
inviolati spazi
un giglio reciso rimette radici
e quando accade
torna primavera
un po’ per tutti.
Porti un corno di cerbiatto
come ciondolo o segno
del patto segreto col bosco,
di quanto in te
ancora di magico giace
al piede del grande albero
invisibile ai versi
inviolabile al vomere.
Giulio
Se potessi scuotere la terra
come quelle palle cólla neve
fatte per diletto o nostalgia.
Se potessi veder uomini
come fiocchi cadere
nello scompiglio dei colori
vicini ai prima lontani, occhi
negli occhi d’altri sguardi
finalmente simili e straniti
e soprattutto
senza maggioranza né bandiera.
Giulio
Vai pure verso il mondo
esplorando l’abito della Terra
tu che adorna di nulla
hai mosso quest’oggi il tuo primo passo.
Solo, di tanto in tanto
torna a riposare sotto l’ombrello
arboreo del mio cuore
dove l’ombra chiara rinfresca a tratti
dove il sole trapela
quando si muove un sorriso di vento.
Giulio