C’è una minima finestra
ritagliata nel cemento
la cui cornice è aperta poco.
Di là esce il fumo di una sigaretta
e la figura stropicciata
di una ragazza appena sveglia.
Intima e lontana
guarda qualche panorama di palazzi
forse un lembo di cielo.
Autore: giuliodellestelle
Blue marble
Su questa terra meravigliosa
corroborata da prove scientifiche inconfutabili
le nuvole si spengono come sigarette
nel posacenere del cielo.
Aria di vetro
terso dopo la pioggia
tra queste strade alberate
invase dal suono del traffico
e di una chitarra lontana.
Tu vieni al mondo.
È un bel giorno per nascere:
metti occhi e radici
su di un pianeta quasi perfetto
anche col suo frastuono di strade
anche col suo contraltare di merli.
Stanca e scomparsa
Delia è una giovane madre arriva al bar trascinando il passeggino come un sasso. Depone il gran peso da parte e stanca s’arrende alla sedia. Infermiera nei modi la cameriera s’affretta a servirla ché sono coetanee e quel volto somiglia a una supplica. Delia è stanca di notti a singhiozzo e svuotate di pianto e di seno. Si sente sparire e anche lei piange ma a casa e da sola: qui al bar solamente una pista di nero ne parla negli occhi. Accanto a una vita che inizia e venendo adombra la prima Delia si sente stanca e scomparsa. Gli anni di Delia e del bimbo gli anni trascorsi e quelli davanti una vita che oscura una vita e i conti che tornano male. Dopo spremuta e caffè pare un po’ meglio. La cameriera sorride lei prende coraggio e risorge e adesso il bimbo da pietra si fa nuovamente respiro e la guarda. Anche Delia lo guarda. E’ ancora infelice ma il peggio per oggi è passato.
Il sogno della circolare
Nell’alba la nebbia si stacca da terra
nell’alba
prega il torrente al confine
la preghiera dei sassi.
E’ lunedì e si sente il suono dell’acqua.
Vedremo il perché.
Ancora riposa la sega
e la pialla
già sveglia aspetta le mani.
Aspetterà ancora a lungo,
vedremo il perché.
I tronchi e i pacchi di travi
sembrano un vicolo cieco
solo da sopra si scorge il disegno
o da dentro
da dove quel sogno proviene.
Come a saperlo
stamane distilla ogni legno
un sudore di ambra comune
non è proprio un pianto
piuttosto un dialetto
un modo per annunciare
la morte del segantino.
Questo dedalo d’assi
macchinari, muletti
è lasciato alla terra
è lasciato agli eredi
sporco di fango e fatica
di cui
la famiglia non sa più che fare.
E’ ancora presto e d’inverno
il lavoro inizia con calma.
Oggi però
la calma è protratta
e sogna ancora la sega
di tronchi d’ebano e oriente
e nel sogno
strano le pare
che non sia ancora tempo
di spaccarsi la schiena.
Considerazioni sulla fine
Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
Sotto casa
Il bacio si sa è dei ragazzi
che incuranti del mondo
nel bacio ne prendono parte.
Il lavoro è duro la sera
con la bici e nel freddo
con lo zaino quadrato
e la paga da poco
per arrotondare.
Coi minuti contati, le consegne da fare
è bello a vent’anni
trovare un minuto
appoggiare la bici alle scale
e salire un istante alla porta
per lasciare al piano un pacchetto
di labbra, fretta ed eterno.
Lei chiude gli occhi
prende in consegna l’amore
ché si vede
è tutto in quel bacio
e rientra di corsa alla casa.
Lui rimette il caschetto
inforca la bici e riparte
due pizze tra poco
e chissà
più tardi una cena di sushi.
Haiku
La vita è un dono
il problema è scartarla
per giocarci un po’.
Femmina
Solo oggi:
che bella femminuccia che sei
è proprio una femmina
parla come una femmina
che principessa
si vede che è una femmina.
Ma non si vede proprio un cazzo
si vede
una bambina che prova a stare al mondo
in un mondo
che continua a dirla femmina.
Inizierà a crederci?
Ricomincio a salire
Salgo correndo su per una scalinata, senza sapere dove porta. Col fiato corto arrivo in cima e quando arrivo una voce, che viene da un punto indefinito nella luce, grida “Rabbi!”. Mi fermo attonito. Mi guardo attorno, nessuno. Dietro di me, nessuno. Di nuovo, “Rabbi!”. Il maestro sono io, mi convinco, e allora faccio per parlare. “In verità, in verità vi dico…” queste parole mi escono facile, ma poi nulla, non riesco a terminare la frase. Non so come terminarla. Non trovo nulla da dire in verità. Solo, non so chi sono e perché sono salito su per quelle scale di corsa verso l’alto. Forse non c’è nessuna verità, o forse non è qui che albergano, sulla cima di queste scale. Stanco, mi lascio cadere a terra, mentre poco a poco i miei occhi si fanno adusi alla luce chiara. Ho già visto questo luogo: in fondo alla scala appena percorsa. Dappertutto migliaia di altre scale dipartono e si esauriscono in un dedalo inestricabile agli occhi. “Rabbi!” rimbomba ovunque la voce. Penso, non sono io! C’è qualcosa, qualcosa che mi spinge a rialzarmi, rialzarmi e ripartire. Ricomincio a salire.
La mia responsabilità circa la morte di G.R.
Quella voce caverna
che avevi
costruita sapiente sigaretta
dopo sigaretta
m’è rimasta nel ventre
frammista all’intestino
legatami addosso dal nostro
legame così particolare.
Dopo una vita di merda
(dicevi “anch’io ho fatto i miei sbagli”)
io t’aiutavo
a cucire trama nuova nel giorno
a tornare all’onesto
all’umano.
Seguivi anche un vecchietto
come badante
“che spero campi cent’anni”.
Il vecchio è ancora vivo.
A quella voce caverna corrosa
avrei affidato
poesie elevate e solide
poesie che salvano con la parola.
Io lo sapevo che appresso
ti portavi la coca
come fatto privato – ancora
debolezza residua
dopo il carcere e la strada.
Lo sapevo la sera
quando giravi sudato
tentando parole stropicciate
lenzuola sporche nel mattino.
Il tuo cuore sapeva di stanco
e sulle scale di casa
s’è fatto garbuglio poi
sasso, pesante
macigno
che su quelle scale sei stato
ad attendere
i soccorsi e la morte.
Io ti ho visto soltanto
nell’intrico di tubi e di cavi,
nell’incertezza della rianimazione.
Eri già
corpo morto
voce spenta e di plastica.
Ora vedi G.R. io lo sapevo
che la coca era l’àncora
ancora alla vita di prima:
non lo sapevo però
come dirtelo
come affrontarlo
ché eri grande
ed io minuto.
Lo dicevo a metà e senza
scavare nel cuore dell’ombra
senza stare
senza risolvere.
Non sono diventato grande in tempo da salvarti la vita
con le parole e con lo sguardo.
Quando sei morto
mi sono preso amuleto il tuo portachiavi
ed ai medici ho chiesto
un trapianto
d’occhi malconci
e di voce rotta dalla vita.
I tuoi occhi e la tua voce
mi hanno reso più grande.
Giulio