E’ un dispiacere vischioso, rimane incollato in faccia, e se provo a lavarlo via, mi imbratto le mani. Pure le mani.
Amici. Del passato, più che del presente: diciamolo.
E ancor meno del futuro, ché non abbiamo nessun progetto (nessuno?) in comune — ed è qui che il dispiacere diventa un boccone piccante, troppo; brucia e fa lacrimare gli occhi.
Mi raccontate cose bellissime, fate e siete bravi, e mentre raccontate invidio quei Paesi in cui vivete, gli abitanti del vostro quartiere, i colleghi e soprattutto gli amici, che possono bere una birra con voi in una sera qualsiasi, o passare a citofonarvi.
Raccontate di come si sta bene, dei servizi che da noi, in Italia, neanche a sognarli, delle buone abitudini che lì tutti, qui nessuno.
Cerco disperatamente una nota di nostalgia, attendo con ansia quel “Tutto bene però…”.
E invece niente.
C’è davvero così poco che vi manca dell’Italia, di noi, che siamo rimasti?
Non vi fa soffrire che ci stiamo provando sempre in meno, sempre più stanchi e soli, a fare qualcosa di bello, qui dove è più difficile?
Tornate.
Ci divideremo quello che resta, inventeremo modi nuovi per stare insieme, stare bene, abbiamo bisogno di voi.
E se proprio non volete, non potete, fate qualcosa per chi da qui resiste, nonostante la corruzione, le disuguaglianze: anzi, più che “nonostante”, “contro” e anche “per”. Perché dell’altro esista.
Se è vero che siete diventati più ricchi, più felici, più riposati… allora mandate un po’ di queste cose anche qui.
Le migrazioni possono produrre effetti positivi, ma devono produrli anche nei Paesi da cui i migranti partono, che rimangono orfani dei figli che hanno allevato, curato, formato.
Ci mancate.
Foto: Vietnam 2016