Come un libro abbandonato sul tavolo
impolverato e mai letto:
il sentimento arginato nel petto.
Perché la vita troppo spesso ci sopravanza,
e il non detto rimane
come un’ombra di suono nella stanza vuota.
Parole in origami attraverso la volta del cielo
Come un libro abbandonato sul tavolo
impolverato e mai letto:
il sentimento arginato nel petto.
Perché la vita troppo spesso ci sopravanza,
e il non detto rimane
come un’ombra di suono nella stanza vuota.
“E adesso scendi dal quel diavolo di piedistallo per favore”, dove ti ci ho messo l’ultima volta con premi ed encomi… e va bene sono stata io a farmi il film, per intero, trama, protagonisti scene ad effetto e sai che c’è adesso ti preannuncio anche il finale: “The end!, come va?” leggi bene che in italiano pressapoco significa: “vai a spandere i panni sul balcone di casa tua!” … cosa? non hai una casa? ma davvero? povera stella! E cosa sarà mai? E’ da tempo che ti abitui a non averla visto che passi più tempo fuori di qui che dentro!… eh no! non iniziare con la storia che con me in casa non si respira, perché mi pare che tu per respirare abbia bisogno di diverse bombole di ossigeno che guarda caso sono tutte in vendita altrove… di cosa mi lamento? ecco diciamo che non mi lamento semplicemente faccio un fotografia a colori della disposizione dei mobili di casa: il sofà, il letto, la cucina, i quadri e tu! E se stai pensando che sono una rompiballe aspetta che te ne do viva conferma: sono una rompiballe patentata anzi da Oscar e allora? Tu sei noioso, paranoico, ansioso, arrogante e pure presuntuoso senza motivo, spari a zero su tutti sei approssimativo e inaffidabile ed io, neanche a dirlo, mi sono fatta fregare dai tre fiori che hai comprato un millennio fa e dalle parole dolci che hai letto sugli involucri dei cioccolatini, ma questo sarebbe ancora niente se non dovessi aggiungere che sei divertente come una domenica di nebbia e la radiocronaca delle partite di calcio a fare da sottofondo. E il sesso poi? Ne parliamo subito o aspetto un giorno così assorbi il colpo? … subito.. no lascio stare, alla fine su quello sono complice, non mi rendo affatto desiderabile! … ma che cosa fai sì con la testa? era sarcasmo, porca miseria…”
……………………. (pausa pranzo)
“….allora, alla conta di questa ennesima giornata di languide carezze e poesie d’amore dolci e delicate pensi di poterli togliere i panni sporchi dalla mia poltrona della lettura? …. dove diavolo sei? ma mi senti?… ah bravo hai tolto i panni sporchi.. hai tolto anche quelli puliti, hai tolto anche le scarpe dal corridoio.. ma..hai tolto anche…. Eh no! io ti amo”
© Amor et Omnia
Lui: ti amo ma vorrei un rapporto aperto, sciolto
Lei: cosa significa esattamente?
Lui: beh niente in particolare solo che non facciamo programmi viviamo alla giornata, ecco. Ci vediamo volentieri ma senza obblighi per nessuno, dai hai capito, se tu puoi e ci vediamo mi fa piacere ma se vuoi stare per i cazzi tuoi mi sta bene. Io poi ho anche le mie abitudini…
Lei: io pensavo che i “cazzi miei” fossero stare con te, ma se vuoi mi adopero diversamente…comunque non voglio discutere io ti amo, dai viviamo quello che c’è e se sono rose fioriranno…..
Lui: brava tesoro, vedi perché sei adorabile, capisci sempre tutto.. dai che ti porto al cinema.
Lei: no ho da fare
Lui: cosa?
Lei: i cazzi miei.
Lui: sei arrabbiata allora! io sono sincero e tu ti arrabbi, allora quando mi dicevi ok va bene, tutte balle!
Lei: no è che io vorrei fare come dici tu ma questo non mi fa sentire importante
Lui: topolina tu sei importantissima, è che non voglio legami asfissianti e che ci soffochiamo
Lei: quindi io sarei potenzialmente soffocante
Lui: no! o si boh! insomma ho solo detto che dobbiamo uscire quando ne abbiamo voglia
Lei: ma se io ne ho voglia il giovedì mettiamo e tu il venerdì che facciamo?
Lui: topolina, non lo so che facciamo lo vediamo per allora… adesso andiamo al cinema
Lei: no ho detto niente cinema si sta qui a parlare fino a capire tutto e chiarire
Lui: sei contraddittoria, prima hai detto che non volevi litigare, mah
Lei: quindi con me si litiga e basta… ecco con me tu ti senti soffocare e non fai altro che litigare.. un mostro insomma…
Lui: topolina mi sto irritando
Lei: smettila di chiamarmi topolina, non ho 20 anni
Lui: lo so ne hai il doppio cosa c’entra?
Lei: 36 pirla! sono 36
© Amor et Omnia
Conversazioni captate (leggi: subìte, dato lo scilinguagnolo delle protagoniste) in treno questa mattina, mentre cercavo di dedicarmi alla lettura dell’amato David Foster Wallace.
Atto I, scena 1.
Ragazza 1: “…la madre le ha tolto l’oggetto di mano e lei si è messa a piangere. Allora io le ho detto: «ma T., questo non è un buon motivo per piangere!». Lei si è sfogata, e quando ha finito, dopo un po’, sai cosa mi ha chiesto?”
Ragazza 2: “…”
R1: “Mi ha chiesto: «Ma allora qual è un buon motivo per piangere?». Ma ti rendo conto? Ha due anni e fa già una riflessione così!”
R2: “E tu, tu che cosa le hai risposto?!?”
R1: “E che ne so, niente le ho risposto, non sapevo mica cosa dirle!”
Atto I, scena 2.
R2: “…e quindi sai cosa ha fatto la prof? Ci ha divisi in gruppi, quindici persone sui banchi in fila, per il lavoro sull’affido: ci ha detto di immedesimarci nella situazione dell’affido di un bimbo di dieci anni, che ha chiamato Diego, e di immedesimarci nei sentimenti, nelle famiglia di partenza, in quella di arrivo, e poi dopo ha chiamato fuori per raccontare quello che è uscito.”
R1: “e voi?”
R2: “e noi, boh, lavorare non si è riuscito a lavorare nulla, tutti in fila coi banchi così, figurati… c’erano S. e F. che stavano in fondo e non han fatto granché perché non avevano voglia e poi neanche sentivano… e noi, boh, abbiamo parlato un po’ ma non sapevamo che dire e così alla fine abbiamo mandato fuori D., che sai che lei ha un affido no?, a raccontare la sua esperienza… e boh.”
R1: “ah! e dopo?”
R2: “e dopo abbiamo fatto l’ora in cui ci hanno parlato del carcere. Ma sì, interessante…”
Ritorno a immergermi e rifugiarmi in Wallace, alle sue immagini di quello che gli esegeti chiamarono un suicidio annunciato – tanto facile, col senno di poi, quanto sterile, insensato ed insopportabile chiamarlo così. Mi rifugio nella lettura, a fatica, con una buona dose di pregiudizi che cerco di dissipare (“eddai, non conosci, hai sentito solo uno stralcio di conversazione“, mi ripeto nella testa) ma senza riuscire ad evitare la sensazione di acredine nei confronti di una realtà che sempre meno considera l’importanza di ascolto e comunicazione (ma di quelli veri, dico, quelli che ora va di moda chiamare, rispettivamente empatico ed ecologica: termini che, mi auguro, non tradiscano la sostanza); acredine, nei confronti di un mondo accademico stantìo e supponente (cari professori, il mestiere delle improvvisazioni teatrali, dei giochi di ruolo o dello piscodramma, di grazia, lasciatelo a chi lo sa fare); acredine, nei confronti di un sistema scolastico che confina in tempi infinitesimali degli interi universi di vita e viceversa dedica ore a colossali minchiate; acredine, nei confronti di chi, parlando con i bimbi, ha sempre meno capacità di stimolare domande ma sempre più risposte, possibilmente assurde e nel momento peggiore.
Milano Cadorna, il treno ha raggiunto il capolinea. I signori viaggiatori sono pregati di scendere e di sospendere i propri giudizi, grazie.
Ci provo, d’accordo, ci provo, ma è mica facile per un attempato fustigatore di costumi come me, sapete?
L’azione, cos’è l’azione?
Secondo me è una performance, un’esecuzione di senso. Per questo è performativa. Un enunciato performativo (in linguistica) non descrive un’azione né constata un fatto (quindi non è suscettibile di un giudizio di falsità o verità) bensì coincide, in determinati contesti, con l’azione stessa.
L’azione, di cosa è fatta l’azione?
Senza dubbio l’azione ha sempre un contenuto, pur non essendo un contenitore in senso stretto; insomma, ha un senso, un significato. Se è un contenitore di significato, deve pur avere una forma. Forma e contenuto. L’antica dualità del pensiero occidentale dal Medioevo all’altro ieri? Superabile e con il minimo sforzo, quello che mette in relazione la forma e il contenuto è il modus. Niente di più del come riempiamo quella forma con quel significato.
La forma, cos’è la forma? Eccetera.
La forma è squisitamente culturale se non addirittura sociale (leggi: il sociale viene prima del culturale), affonda le proprie strutture (in senso debole, non marxista, e pluralìs-possibilìs-saimaìsta) nell’interazione. Il contenuto, da canto suo, ha fondamenti individuali, schultzianamente definiti dall’incontro delle soggettività, collettivizzati post e interiorizzati sic ma ampiamente ridefinibili. Insomma, il significato è sempre un po’ ‘zzitùa. E il modus?
Io quello, a quanto pare, lo sbaglio sempre. Quindi ci ritorno più avanti. Stay tuned.
Gianmarco
Così, mentre studio per un corso di abilitazione professionale, trovo questo argomento: l’ascolto attivo, e leggo..
“Ascoltare correttamente sembra un atteggiamento passivo, invece è eminentemente attivo perchè richiede presenza di sé ed investimento di energie: attenzione mentale, coinvolgimento emotivo, concentrazione, soprattutto nel dover far tacere la propria comunicazione intrapsichica, il proprio vissuto. Infatti è molto difficile far smettere quel chiecchiericcio mentale, colmo di giudizi, di impressioni, che di frequente ci assilla. Spesso, mentre il nostro interlocutore sta parlando, stiamo già pensando alla risposta da dare, senza prestare vera attenzione al messaggio che sta cercando di comunicarci. Chi pensa che l’ascolto sia un’operazione passiva confonde l’ascolto con il sentire, che è qualcosa invece di fisiologico, di meramente meccanico. “
Giacomo
Vi è mai capitato di attendere “la frase del giorno”? Della serie guardo il cielo in attesa della stella cadente oppure rimango sotto il pero finchè cade la pera? Beh, quel pomeriggio nè afoso, nè fresco di sabato scorso ero in vena ,in ronzio della frase del giorno. La bramavo!Eccome se la bramavo!!
Raji
Sembra che.. parlare uno sopra l’altro.. sia divenuta una cosa naturale di sti tempi,arcituffolo! Ognuno spreme fuori ad alta voce ciò che gli passa per il cervello a caccia di approvazione, fingendo di ascoltare l’altro.. nei migliori dei casi. E’ no, no e ancora nain! Mi ritengo fortunato di poter approdare ad una Scuola di Ricerca Interiore (vedi a lato) nella quale la Condivisione è presente come l’aria che respiriamo. Nella quale PRIMA si ascolta, mentre si RESPIRA.. e poi… sempre RESPIRANDO ed ASCOLTANDO può accadere ..la Parola.. come un fiore che cresce libero in uno spazio dolcemente attento, come un’onda che si fonde in un’altra onda, come una nota che segue quella precedente in modo armonico… e si condivide, il silenzio come il suono, il significato come lo scherzo, il sorriso come il pianto e si FA SPAZIO.. i giudizi vengono lasciati cadere, non attecchiscono, ed ognuno si sente libero di essere se stesso e di esprimersi con serenità percependo di essere considerato davvero, direi amato..
Ma il mondo, il mondo è un covo di ultra-sforzi. Si vuole avere ragione, si vuole essere ammirati, si vuole essere al centro dell’attenzione, si vuole manipolare la scena, in altre parole ci si vuole Sentire attraverso il consenso dell’altro. In ciò non vedo libertà, nè la possibilità di condividere veramente il momento.. perchè si è troppo nella testa, si è troppo concentrati su se stessi. Condividere, per me, è FAR SPAZIO, ed accogliere qualcosa che si manifesta per la PRIMA VOLTA. Generalmente si dà per scontato chi abbiamo di fronte, soprattutto in famiglia.. e quindi non si ascolta e non si osserva veramente. Tutto si può condividere quando c’è presenza mentale ed apertura..
Voi che ne pensate?
Raji
Vorrei conoscere
il nome
dei fiori le foglie di ogni frutto il nome
proprio.
Il nome di ogni pietra albero e di ciascun
seme
nella terra o nel vento di tutti
gli uccelli gli insetti di quei cani
nel parco.
Il nome di questa ragazza che ride delle donne
amiche nemiche lontane vicine di quelle
che ho invidiato sfiorato di tutte
e ciascuna a cui non ho chiesto
“Come ti chiami?”
Il nome degli uomini sul mio autobus
treno sul precedente successivo
di poco di tanto
di quelli
che ho consigliato amato a volte
ferito.
Il nome di chi mi guarda
dal fondo dello specchio
chiama
un nome forse
mio.
Vorrei conoscere il nome di ogni esistente il nome
proprio.
E poi chiamare ciascuno
dire “Ciao”.
Arianna