Ieri era la giornata contro la violenza sulle donne.
Inutile dire che lo è anche oggi. O per lo meno dovrebbe esserlo.
Oggi, domani, dopodomani, dopo dopodomani.
Tante parole sono state spese quindi forse non serve aggiungerne altre.
Però una cosa la vorrei dire: la violenza, in generale, e quella contro le donne, in particolare, ci tocca da vicino. Non riguarda solo gli altri. Non sono “mostri” i mariti, i compagni che picchiano, umiliano e uccidono. Non sono “stupide” o, peggio, “corresponsabili”, le mogli, le compagne che subiscono. E magari giustificano, si sentono in colpa, e poi però odiano, hanno paura, si contraddicono.
Sono persone “normali”. Può capitare anche a noi, e purtroppo capita.
E forse quando cominceremo a parlarne di più, a partire dalle esperienze concrete, a partire da noi, forse qualcosa, forse, si spera.
Quindi comincio, parto da me: ho avuto paura, diverse volte nella mia vita.
Ho avuto paura una volta sul pullman, a Torino, di sera. Un uomo si è seduto dietro di me e ha cominciato a parlarmi nell’orecchio. C’era pochissima gente. Mi sono alzata, ho cambiato posto, ero terrorizzata.
Ho chiesto a mia mamma di venirmi a prendere alla fermata. E poi però non sono riuscita a non chiedermi: “Come mai si è seduto proprio dietro di me? Magari ero vestita in modo sbagliato? Sono stata imprudente?”.
Ho avuto paura tante volte a Parigi, l’anno scorso. Quando tornavo a casa in bici (o in metro) e dovevo passare davanti a un gruppo di uomini che puntualmente stazionava davanti a un piccolo supermarket aperto fino a tardi, proprio sotto casa. A volte mi squadravano. A volte (loro o altri uomini incontrati lungo il cammino) mi dicevano qualcosa, tipo: “ça va?”; “vous allez où?”. A me dava molto fastidio, e se questi commenti arrivavano di giorno magari rispondevo e mi arrabbiavo; però di sera, di notte, stavo zitta, subivo, avevo paura.
Non ho indossato gonne per un anno, per tutto il tempo in cui sono stata a Parigi. In particolare la sera, facevo molta attenzione a non indossare niente che potesse dare nell’occhio. Sapevo che era un comportamento stupido, che vestirmi con giacconi larghi e scarpe da ginnastica non mi avrebbe protetta né dagli sguardi né dai commenti e che, per converso, se avessi indossato una gonna e avessi ricevuto commenti non sarebbe stata colpa mia; eppure mi sono comportata così. Desideravo rendermi invisibile, speravo di non essere guardata da nessuno, volevo solo che mi lasciassero in pace.
Credo che anche questa sia violenza.
Arianna
Foto: Nadia Lambiase
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