Approssimativamente l’anima
tra questa e l’altra sponda
tuo padre già svanito
sepolto nel Mediterraneo
(il nuovo mare dei cadaveri
la ferita che l’Africa mai ricuce
la violenza che l’Europa mai risana)
quel tuo curricula perfetto
il primo impiego a dieci anni
e l’italiano così incerto
tra i corsi e l’emozione.
Ed ora col tuo viso pulito
chiudi gli occhi
seduto nell’involucro metallico
cuore di lamiera
cuore di container
dove in tredici hai vissuto
sofferto, sperato, trovato
l’incommensurabile forza degli occhi
aperti ora
come braci sul mondo
ed ancora tua madre
quella che chiami fragilità
per non chiamare pazzia
quelle occhiaie lunghe di troppa
erba
troppo metal
troppa vita che scorre
dalle mani alla chitarra
il fiore degli anni
il fiore della sofferenza
due fiori recisi.
La giovinezza del tempo presente
l’insostenibile attesa di un lavoro
teoria smisurata all’università
gli occhiali e le mani sudate
la speranza di un impiego
pagato poco, pagato
però
tu che aduso ai tirocini
lanci gli anni come sassi
in attesa del giusto che non viene.
Infine il lavoro nei campi
la sicurezza ostentata
la tua giovane forza dell’est
a raccogliere mele perfette
cosi buone – in verità
cosi ingiuste – in verità
anche tu senza casa
anche i tuoi ventidue anni confusi
nella folla
degli universitari allo sbando
nonostante il cellulare
nonostante la camicia.
Giulio
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