Da una settimana sono afona, conseguenza di una laringite.
Niente di grave, ovviamente, c’è di peggio.
Ho fatto però l’esperienza di essere “diversa”.
La diversità è sempre reciproca (sono diversa dagli altri, ma anche gli altri sono diversi da me) e, paradossalmente, uguale per tutti, poiché ogni essere umano è diverso, in quanto unico. Eppure, c’è qualcuno che è più diverso degli altri, perché la sua condizione si associa alla solitudine: è “l’unico” a vivere una data esperienza, non condivisa da e difficilmente condivisibile con la maggior parte delle persone che lo circondano.
Pensieri in ordine sparso, sull’esperienza di questo secondo tipo di diversità:
1) Sono andata al lavoro, anche se ho diritto alla malattia. Ne ho diritto, in teoria, ma in pratica siamo talmente pochi e sovraccarichi che se uno sta a casa, è un vero casino. Però, forse, sono andata al lavoro anche per sentirmi meno diversa: non volevo essere malata.
2) Dopo i primi giorni di quasi-divertimento in cui tutti cercavano di capire il labiale e i miei gesti, diverse persone si sono stufate.
“Eh ma non è che lo fai apposta?”
“Ma come fai a non avere più voce per niente… dai, non è possibile!”
“Secondo me ci prendi in giro…”
“Oh, io mi sono rotto di questo mutismo! E parla, dai, non ci credo che non puoi dire nemmeno una parola!”
(tra parentesi: una parola la posso pure dire, però se sforzo la voce è peggio).
3) Pochissimi hanno espresso empatia nei miei confronti (la “diversa”), quasi tutti la esprimevano nei confronti di chi subiva le conseguenze più fastidiose dell’afonia, vale a dire i miei colleghi diretti, che dovevano fare anche le telefonate che avrei dovuto fare io. Interessante: non ero io ad aver diritto di lamentarmi, bensì i colleghi (e appena mi torna la voce: doppia razione di telefonate!).
4) Se una cosa capita alla maggioranza, è normale; se capita a pochi, è sfortuna; se capita a pochissimi, ci dev’essere qualcosa di sbagliato in questi, ché la sfiga che ci vede benissimo non esiste:
“Ma sai che sei la prima che conosco a cui succede una roba così? Ma com’è che capita solo a te??”
“Beh magari non ti sei curata bene… avresti dovuto andare dal medico prima!”
“Oh, te la sei presa proprio brutta, eh!” (sguardo diffidente-indagatore).
5) Noto sempre più spesso che l’atteggiamento del blame the victim si declina negli ambienti della sinistra-fricchettona nell’equivalenza sano = bravo = stile di vita “naturale” = se lo merita; equivalenza che ne implica un’altra, a mio avviso pericolosa, e cioè malato = cattivo = stile di vita non sano = se l’è cercata.
Ecco, vorrei ricordare a bassa voce (anche perché di più non ne esce) che non prendere farmaci è anzitutto una fortuna, non un merito. Poi va bene non abusarne, fare attenzione a cosa si mangia e a come si vive ecc. ecc… però, insomma, anch’io mi sono un po’ rotta, se devo dirla tutta (e non potendo dirlo, lo scrivo).
Foto: Lanzarote 2015
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