Un paio di occhi umidi, mamma,
ce li scambiamo
con le parole che escono.
Che dire
ancora, è
passato
non passa.
Parole in origami attraverso la volta del cielo
A questo dolore
Pensavo di aver finito, con te.
Ci siamo detti tanto, non era
tutto?
Quanto spazio ancora
quante notti?
Ah, dici,
sono io
che ti tormento?
Ma guarda!
Se appena gratto
subito trovo
te: arrabbiato come prima.
Non voglio
Non voglio
Devo.
E’ successo
è stato
più preciso che possibile
– e io c’ero.
Foto: Hoi An (Vietnam) 2016
Che cosa cambia,
nel presente,
se il passato
di colpo
è diverso, se cambia
perché ora si conosce,
si viene a sapere.
Non so perché
ma cambia.
Cambia tutto
per un po’
e poi qualcosa
per tanto tempo.
Arianna
Foto: Provenza 2013
Tessuto croccante, fresco,
di armadio in cui lungamente ha riposato,
leggermente rigido
come a sostenere dame e principesse di castelli lontani.
Fili leggeri di cura ricamata,
come a coprire, velare e infine rivelare
la grazia che sul capo si posa,
sposa, discende.
Storie e passati che diventano presente,
due vite che si annodano, si aprono, si parte!
Nadia
Sogno d’un tempo in cui il volto di mia madre, a volte, sembrava giovane, o forse semplicemente meno stanco, liso. Un tempo in cui queste rughe, precise come cicatrici, stavano appena appoggiate e i polsi potevano mostrarsi, senza bracciali. Un tempo in cui il passo andava deciso, con il peso un po’ qua e un po’ là. Esattamente un po’.
Sogno d’un tempo in cui la voce di mio padre, a volte, si scioglieva in uno sbuffo rilassato. Un tempo in cui si parlava d’altro, del lavoro, dei soldi, cose senza importanza rispetto, eppure sembrava. Un tempo in cui il dolore stava, come fosse accanto, non davanti, a chiudere il possibile, d’una vita senza. Un tempo in cui il passato, e poi certo il futuro, però il presente, il presente si faceva sopportare.
Sogno d’un tempo triste, che pure oggi pare felice, perché – ah, chi mai l’avrebbe detto? – più felice di questo, del tempo d’adesso.
Arianna
Fotografia di Nadia Lambiase
Pensieri al condizionale passato, quelli che ormai, con potere e dovere confusi, come gocce, di sudore o pioggia, o forse.
E pianto acuto di donna, bambini cantano, gli indiani al centro della terra, cappotti sul braccio, fa caldo.
Poi è soltanto, nell’afa, latrare di cani.
Domanda: “Andate d’accordo?”
Risposta: “Sì”
(sospiro)
“Ma siamo tristi”.
Arianna
Dipinto: Federico Marchinu
ora sono morti.
Piango i cadaveri
come fossero
i più cari compagni
di questa mia vita.
uno in fila all’altro
sulla coda del tempo;
come cadaveri.
Anzi cadaveri,
di me stessi che ora non sono,
dalle mie scelte spenti.
ed una foglia
che prende commiato
Mi mancano quei me stesso che ero,
come l’aria li penso,
li frugo e li cerco
Eppure mi accorgo
che sono morti
e che ora io
sono tutt’altro.
un me stesso fugace
che già crepa
– lo stesso
un verso più in là –
diverso dai prima
dai quando
e più non saranno.
Rimane il peso
morire;
di questo crescere
trovare, scoprire,
vivere, essere
di questo nuovo
che accomiata
esclude
ciò che è stato,
senza ritorno.
mi manco in ogni squisito frangente
irripetibile attimo
Amo il mio passato
ne amo i dettagli
alla mia mente
(quanti sono?)
In questo eterno morire
sento grande vecchiaia,
di migliaia di vite
rapidissime
una aggrappata all’altra
Mi sento
un vecchio
nel cimitero dei propri se stessi.
(Quante storie diverse!)
Ecco:
che porta i fiori
su ogni tomba
e s’inchina profondo
e mentre prega
muore e muta ancora
nella speranza
non siano vane.
Forse dovrei
eppure indugio poiché
tra quei sentieri a grani bianchi
di un senso
come una storia
che trapela dalle foto ingiallite
e che è la mia storia.
La storia di questo
che è il mio presente.
ma su questa sponda
del mio sentire
è un trapasso
ed una foglia
che prende commiato.
Questa poesia è dedicata a tutte le persone che ho incontrato in questa parte della mia vita, a tutte quelle persone che ho sfiorato anche solo per una frazione di me stesso o di secondo, che in fondo è la stessa cosa.
Giulio
Credo nello scorrere del tempo, che molte volte aiuta.
Credo nella musica che aiuta sempre e non tradisce mai.
Credo nei tramonti visti in solitaria e nelle ordinarie giornate passate in compagnia.
Credo negli amici, la cosa più cara che ho.
Credo nelle mie capacità.
Credo nella forza della parola scritta, che sia essa usata come forma di denuncia, di semplice racconto, o di evasione dalla realtà.
Credo nelle persone coraggiose.
Credo nel sempre e nel mai perché rappresentano una certezza.
Credo nel cielo che rimane sempre al suo posto ma è ogni giorno diverso.
Credo nell’aiutare e nell’essere aiutati.
Credo nella bontà delle persone che nella vita non hanno avuto momenti felici.
Credo che le persone che ci lasciano con la morte, siano sempre accanto a noi e quando le nominiamo con tristezza, ridono; ecco cos’è il fruscio tra gli alberi.
Credo nella famiglia, quella che tutti almeno una volta odiamo.
Credo nel passato, perché se non sai chi sei, non sai nemmeno chi potresti diventare.
Credo nella solitudine, rifugio dell’anima e riposo della mente.
Credo nel mare che tra un’onda e l’altra ci dà una carica di energia, e con il suo “va e vieni” ci mostra la dote più bella che una persona possa avere: la perseveranza.
Credo nel sapere perché l’intelligenza è l’arma migliore.
Credo nei sorrisi di chiunque e negli specchi, che non mentono mai.
Si ringrazia per la collaborazione
Eleonora Pascai
Whatever is gone is gone and wise man always make best use of time left.
– S. N. Goenka –
Io credo sia molto difficile accettare che le cose belle abbiano una scadenza. Credo sia difficile guardare nel passato ed amare ciò che è stato senza torturarsi per non poterlo avere un’altra volta indietro. Anche solo per un istante. Come l’amore.
L’amore passato è un amore grande che vive di ricordi messi in cantina. Andare a frugare tra i sentimenti vecchi è proprio come accedere ai giochi abbandonati da piccoli, alle emozioni che ci regalavano. Anche coperti dalla polvere del tempo i sentimenti passati brillano di una luce viva, poiché sono irrimediabilmente nostri, sono i padri e le madri del nostro sentire, di quello che siamo.
E’ anticamente dolce il cullarsi nel dolceamaro generato da ciò che non c’è più e che pure però è stato.
Cullarsi in un volto e in un sorriso,
cullarsi in un’aria di cristallo,
cullarsi in quella volta che all’asilo hai sbirciato sotto la gonna di una bimba,
cullarsi nel bicchiere di vino bevuto insieme ad un amico straniero che ora chissà come sta e cosa fa,
cullarsi in un momento di verità sfuggito, come la sabbia tra le mani.
Il passato è stato per un istante ed ora è dietro per in tempo infinito. E’ questa infinitudine del tempo rimanente che schiaccia gli istanti vissuti, li assottiglia e li riduce ad attimi quasi invisibili, privi di sostanza.
Il misero di ciò che è passato accade proprio quando, in un istante andato, è stato per noi possibile percepire l’infinito. Così tutto il cosmo e tutto il tempo, tutte le leggi, si sono per un attimo espresse, come un infinito che si manifesta in un infinitesimo.
Sono gli infiniti che ci attendono, tuttavia, che più mi regalano speranza, che mi impongono di non fermarmi là dove sto già bene. E’ per quegli infiniti che sono disposto ad abbandonare gli infinitesimi infiniti già passati, che seppur meravigliosi, possono (forse) essere trascesi. Questo è il tavolo verde su cui ho puntato tutte le fiches della mia vita.
Giulio
quanti baci perdi, già
li hai persi nelle labbra
di chi siede accanto.
come treni li perdi, come
le stazioni, veloci
alla vista.
il passo disegna cerchi
mentre cerchi di segnare
il passo e ti appendi
all’amore passato, non
apprendi il passato
dell’amore.
Gianmarco