Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
Parole in origami attraverso la volta del cielo
Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
La vita è un dono
il problema è scartarla
per giocarci un po’.
un’altra notte che non era questa
ti ho sognato e io non sono di quelli
che ricordano i sogni, forse sogno
i ricordi, e poi non ho più pensato
che eravamo due noi distanti, due
sconosciuti narranti, io muto osservatore
della tua storia urlata a un telefono
su una piccola strada di provincia,
perché i sogni pescano dal mare
che riescono a raggiungere,
e io dall’altro lato cercavo di capire
sapendo di non poterlo fare, cercavo
di capire come capirti, ma i sogni
parlano una lingua mai studiata;
e poi il risveglio è stato solo risveglio
ed eravamo ancora due narratori
distanti
Come un libro abbandonato sul tavolo
impolverato e mai letto:
il sentimento arginato nel petto.
Perché la vita troppo spesso ci sopravanza,
e il non detto rimane
come un’ombra di suono nella stanza vuota.
Vai pure verso il mondo
esplorando l’abito della Terra
tu che adorna di nulla
hai mosso quest’oggi il tuo primo passo.
Solo, di tanto in tanto
torna a riposare sotto l’ombrello
arboreo del mio cuore
dove l’ombra chiara rinfresca a tratti
dove il sole trapela
quando si muove un sorriso di vento.
Giulio
Lo sguardo si allunga ad abbracciare
paesaggi di polvere, pietre, sterpi.
Si allenta la morsa che sentiamo dentro,
siamo superficie e limite,
orizzonte di noi stessi.
Profumo di rose selvatiche portato dal vento.
Approssimativamente l’anima
tra questa e l’altra sponda
tuo padre già svanito
sepolto nel Mediterraneo
(il nuovo mare dei cadaveri
la ferita che l’Africa mai ricuce
la violenza che l’Europa mai risana)
quel tuo curricula perfetto
il primo impiego a dieci anni
e l’italiano così incerto
tra i corsi e l’emozione.
Ed ora col tuo viso pulito
chiudi gli occhi
seduto nell’involucro metallico
cuore di lamiera
cuore di container
dove in tredici hai vissuto
sofferto, sperato, trovato
l’incommensurabile forza degli occhi
aperti ora
come braci sul mondo
ed ancora tua madre
quella che chiami fragilità
per non chiamare pazzia
quelle occhiaie lunghe di troppa
erba
troppo metal
troppa vita che scorre
dalle mani alla chitarra
il fiore degli anni
il fiore della sofferenza
due fiori recisi.
La giovinezza del tempo presente
l’insostenibile attesa di un lavoro
teoria smisurata all’università
gli occhiali e le mani sudate
la speranza di un impiego
pagato poco, pagato
però
tu che aduso ai tirocini
lanci gli anni come sassi
in attesa del giusto che non viene.
Infine il lavoro nei campi
la sicurezza ostentata
la tua giovane forza dell’est
a raccogliere mele perfette
cosi buone – in verità
cosi ingiuste – in verità
anche tu senza casa
anche i tuoi ventidue anni confusi
nella folla
degli universitari allo sbando
nonostante il cellulare
nonostante la camicia.
Giulio
Potessi scavarti negli occhi
estrarne globi di cemento
e ad essi legato
immergermi nell’alcova del tuo spirito.
Potessi scegliere un abisso
verrei nel tuo petrolio fondo
in te oserei
l’apnea del mare vasto
in te l’icaro profondo.
Giungerei all’eremo subacqueo
come al luogo in cui il gelido giaciglio
s’apre in magma, in crepe di vermiglio;
edificherei là un tempio rame e fiori
un nido metallico per aquile marine
nell’incavo ceruleo
del tuo cuore nascondiglio:
un giglio solitario per occhi di bambine.
Giulio
Dopo anni di rigoroso servizio
di carichi e scarichi precisi
e d’obbedienza al manovale,
la gru prese a sognare:
si mise a contare le case,
ad orientarsi alle linee degli aerei,
a stendere il collo del traliccio
per respirare l’aria pura;
a contemplare i comignoli
a sorprendere i gatti sulle scandole dei tetti
a spiare alla finestra del decimo piano
(che era quello sguardo lungo – dietro il vetro?).
Fu per poco.
Fuori controllo, inservibile
fu smontata il giorno dopo.
Epperò si scoprì
dopo
che i comignoli spiati
avevano preso anch’essi a sognare:
passarono l’inverno a scrivere
poesie di fumo
evanescenti
intraducibili.
Giulio
Ciò che è giusto conta.
Mi avevano detto che no
che la formica
e la cicala
e poi i soldi ed il potere,
accumulare beni:
sant’accumulo.
Me lo hanno detto
con l’esempio
e non con le parole,
da crederci,
da darsi subito daffare.
Invece no.
Invece qualcosa di più umano
da dentro dice cose universali
dice il giusto conta
fare il giusto
avere il giusto.
La povertà è un valore
non come mancanza
ma come equidistanza.
Perché ciò che è giusto conta
e fanculo agli escrementi
di cui s’adorna il mondo.
Giulio