C’è una minima finestra
ritagliata nel cemento
la cui cornice è aperta poco.
Di là esce il fumo di una sigaretta
e la figura stropicciata
di una ragazza appena sveglia.
Intima e lontana
guarda qualche panorama di palazzi
forse un lembo di cielo.
Tag: Poesia
Il sogno della circolare
Nell’alba la nebbia si stacca da terra
nell’alba
prega il torrente al confine
la preghiera dei sassi.
E’ lunedì e si sente il suono dell’acqua.
Vedremo il perché.
Ancora riposa la sega
e la pialla
già sveglia aspetta le mani.
Aspetterà ancora a lungo,
vedremo il perché.
I tronchi e i pacchi di travi
sembrano un vicolo cieco
solo da sopra si scorge il disegno
o da dentro
da dove quel sogno proviene.
Come a saperlo
stamane distilla ogni legno
un sudore di ambra comune
non è proprio un pianto
piuttosto un dialetto
un modo per annunciare
la morte del segantino.
Questo dedalo d’assi
macchinari, muletti
è lasciato alla terra
è lasciato agli eredi
sporco di fango e fatica
di cui
la famiglia non sa più che fare.
E’ ancora presto e d’inverno
il lavoro inizia con calma.
Oggi però
la calma è protratta
e sogna ancora la sega
di tronchi d’ebano e oriente
e nel sogno
strano le pare
che non sia ancora tempo
di spaccarsi la schiena.
Considerazioni sulla fine
Un passero si posa su un ramo
indugia
un altro passero
gli si fa accanto.
Indugia.
C’è un nido forse?
Poi un passero
spicca il volo indicando
il tempo breve di un amore.
Haiku
La vita è un dono
il problema è scartarla
per giocarci un po’.
noi distanti
un’altra notte che non era questa
ti ho sognato e io non sono di quelli
che ricordano i sogni, forse sogno
i ricordi, e poi non ho più pensato
che eravamo due noi distanti, due
sconosciuti narranti, io muto osservatore
della tua storia urlata a un telefono
su una piccola strada di provincia,
perché i sogni pescano dal mare
che riescono a raggiungere,
e io dall’altro lato cercavo di capire
sapendo di non poterlo fare, cercavo
di capire come capirti, ma i sogni
parlano una lingua mai studiata;
e poi il risveglio è stato solo risveglio
ed eravamo ancora due narratori
distanti
Finché c’è tempo
Come un libro abbandonato sul tavolo
impolverato e mai letto:
il sentimento arginato nel petto.
Perché la vita troppo spesso ci sopravanza,
e il non detto rimane
come un’ombra di suono nella stanza vuota.
Vai
Vai pure verso il mondo
esplorando l’abito della Terra
tu che adorna di nulla
hai mosso quest’oggi il tuo primo passo.
Solo, di tanto in tanto
torna a riposare sotto l’ombrello
arboreo del mio cuore
dove l’ombra chiara rinfresca a tratti
dove il sole trapela
quando si muove un sorriso di vento.
Giulio
Dasht-e Kavir
Lo sguardo si allunga ad abbracciare
paesaggi di polvere, pietre, sterpi.
Si allenta la morsa che sentiamo dentro,
siamo superficie e limite,
orizzonte di noi stessi.
Profumo di rose selvatiche portato dal vento.
5 colloqui di servizio civile
Approssimativamente l’anima
tra questa e l’altra sponda
tuo padre già svanito
sepolto nel Mediterraneo
(il nuovo mare dei cadaveri
la ferita che l’Africa mai ricuce
la violenza che l’Europa mai risana)
quel tuo curricula perfetto
il primo impiego a dieci anni
e l’italiano così incerto
tra i corsi e l’emozione.
Ed ora col tuo viso pulito
chiudi gli occhi
seduto nell’involucro metallico
cuore di lamiera
cuore di container
dove in tredici hai vissuto
sofferto, sperato, trovato
l’incommensurabile forza degli occhi
aperti ora
come braci sul mondo
ed ancora tua madre
quella che chiami fragilità
per non chiamare pazzia
quelle occhiaie lunghe di troppa
erba
troppo metal
troppa vita che scorre
dalle mani alla chitarra
il fiore degli anni
il fiore della sofferenza
due fiori recisi.
La giovinezza del tempo presente
l’insostenibile attesa di un lavoro
teoria smisurata all’università
gli occhiali e le mani sudate
la speranza di un impiego
pagato poco, pagato
però
tu che aduso ai tirocini
lanci gli anni come sassi
in attesa del giusto che non viene.
Infine il lavoro nei campi
la sicurezza ostentata
la tua giovane forza dell’est
a raccogliere mele perfette
cosi buone – in verità
cosi ingiuste – in verità
anche tu senza casa
anche i tuoi ventidue anni confusi
nella folla
degli universitari allo sbando
nonostante il cellulare
nonostante la camicia.
Giulio
Malinconia
Potessi scavarti negli occhi
estrarne globi di cemento
e ad essi legato
immergermi nell’alcova del tuo spirito.
Potessi scegliere un abisso
verrei nel tuo petrolio fondo
in te oserei
l’apnea del mare vasto
in te l’icaro profondo.
Giungerei all’eremo subacqueo
come al luogo in cui il gelido giaciglio
s’apre in magma, in crepe di vermiglio;
edificherei là un tempio rame e fiori
un nido metallico per aquile marine
nell’incavo ceruleo
del tuo cuore nascondiglio:
un giglio solitario per occhi di bambine.
Giulio