Che cosa cambia,
nel presente,
se il passato
di colpo
è diverso, se cambia
perché ora si conosce,
si viene a sapere.
Non so perché
ma cambia.
Cambia tutto
per un po’
e poi qualcosa
per tanto tempo.
Arianna
Foto: Provenza 2013
Parole in origami attraverso la volta del cielo
Che cosa cambia,
nel presente,
se il passato
di colpo
è diverso, se cambia
perché ora si conosce,
si viene a sapere.
Non so perché
ma cambia.
Cambia tutto
per un po’
e poi qualcosa
per tanto tempo.
Arianna
Foto: Provenza 2013
Rosa-saetta, cirri alti di petali:
nel cielo un tripudio interiore.
L’attimo finestra si è aperto
ancora per cambiare l’aria
di questo presente stanza.
Va smossa l’inedia conservatrice,
lei ama le ragnatele perenni
la sicurezza stantia della polvere.
Tessuto croccante, fresco,
di armadio in cui lungamente ha riposato,
leggermente rigido
come a sostenere dame e principesse di castelli lontani.
Fili leggeri di cura ricamata,
come a coprire, velare e infine rivelare
la grazia che sul capo si posa,
sposa, discende.
Storie e passati che diventano presente,
due vite che si annodano, si aprono, si parte!
Nadia
Sogno d’un tempo in cui il volto di mia madre, a volte, sembrava giovane, o forse semplicemente meno stanco, liso. Un tempo in cui queste rughe, precise come cicatrici, stavano appena appoggiate e i polsi potevano mostrarsi, senza bracciali. Un tempo in cui il passo andava deciso, con il peso un po’ qua e un po’ là. Esattamente un po’.
Sogno d’un tempo in cui la voce di mio padre, a volte, si scioglieva in uno sbuffo rilassato. Un tempo in cui si parlava d’altro, del lavoro, dei soldi, cose senza importanza rispetto, eppure sembrava. Un tempo in cui il dolore stava, come fosse accanto, non davanti, a chiudere il possibile, d’una vita senza. Un tempo in cui il passato, e poi certo il futuro, però il presente, il presente si faceva sopportare.
Sogno d’un tempo triste, che pure oggi pare felice, perché – ah, chi mai l’avrebbe detto? – più felice di questo, del tempo d’adesso.
Arianna
Fotografia di Nadia Lambiase
ora sono morti.
Piango i cadaveri
come fossero
i più cari compagni
di questa mia vita.
uno in fila all’altro
sulla coda del tempo;
come cadaveri.
Anzi cadaveri,
di me stessi che ora non sono,
dalle mie scelte spenti.
ed una foglia
che prende commiato
Mi mancano quei me stesso che ero,
come l’aria li penso,
li frugo e li cerco
Eppure mi accorgo
che sono morti
e che ora io
sono tutt’altro.
un me stesso fugace
che già crepa
– lo stesso
un verso più in là –
diverso dai prima
dai quando
e più non saranno.
Rimane il peso
morire;
di questo crescere
trovare, scoprire,
vivere, essere
di questo nuovo
che accomiata
esclude
ciò che è stato,
senza ritorno.
mi manco in ogni squisito frangente
irripetibile attimo
Amo il mio passato
ne amo i dettagli
alla mia mente
(quanti sono?)
In questo eterno morire
sento grande vecchiaia,
di migliaia di vite
rapidissime
una aggrappata all’altra
Mi sento
un vecchio
nel cimitero dei propri se stessi.
(Quante storie diverse!)
Ecco:
che porta i fiori
su ogni tomba
e s’inchina profondo
e mentre prega
muore e muta ancora
nella speranza
non siano vane.
Forse dovrei
eppure indugio poiché
tra quei sentieri a grani bianchi
di un senso
come una storia
che trapela dalle foto ingiallite
e che è la mia storia.
La storia di questo
che è il mio presente.
ma su questa sponda
del mio sentire
è un trapasso
ed una foglia
che prende commiato.
Questa poesia è dedicata a tutte le persone che ho incontrato in questa parte della mia vita, a tutte quelle persone che ho sfiorato anche solo per una frazione di me stesso o di secondo, che in fondo è la stessa cosa.
Giulio
a volte presente
condizionale, ovviamente,
sarebbe contenta
oppure delusa
a volte (con più onestà)
passato irreale
le sarebbe piaciuto
se
fossimo sinceri però
diremmo
la verità del fatto:
assente
ignoriamo chi sarebbe
se ancora fosse
certamente diversa
e allora
la verità
è allo stato presente
indicativo
passato, ovviamente.
Arianna
Un altro (o il primo?) capitolo della Grammatica del quotidiano, edizione AdC 2010.
I verbi difettivi sono quei verbi che non hanno alcune o tutte le voci di una coniugazione. In italiano sono un po’ e di solito sono quelli che mancano del participio passato e quindi di tutti i tempi composti, poi ci sono quelli che mancano (anche) del passato remoto. Alcuni esempi? Delinquere e competere non hanno il participio passato, sono azioni che si possono attuare solo nel presente (istantaneità), di cui si può raccontare con l’imperfetto (scenario di un passato o possibilità), o che si possono progettare o prevedere nel futuro. Anche discernere il bene dal male ha le stesse caratteristiche, anche se la forma futura non è molto utilizzata: la scelta etica è qualcosa di istantaneo, che si fa o si fece in un momento preciso della vita. Concernere manca anche del passato remoto: qualcosa concerne/concerneva qualcos’altro e basta, in questo/quel momento. La coerenza è una qualità puntuale, un punto su una curva.
Questo succede grammaticalmente parlando. E nella vita quotidiana? Proviamo a pensare a verbi (azioni o stati) che, pur non essendo difettivi dal punto di vista puramente grammaticale, in alcune voci della loro coniugazione perdono di significato. Tutto ciò ha a che fare con la critica sociale, forse, con la lotta e con la rivoluzione. Il verbo lavorare, per esempio, ha un che di fantasmagorico coniugato al presente. Molti di noi lo usano al passato (ho lavorato, lavoravo, lavorai, avevo lavorato o lavorassi o avessi lavorato…), perché manca la possibilità di parlarne al presente. Il futuro è poi una scommessa, un azzardo preceduto sempre da un se. La politica ci toglie la libertà di pensare modi e tempi delle nostre azioni, svuota di significato i progetti, e ci fa pensare al glorioso passato del si stava meglio quando si stava… meglio.
Compiti per tutti: giocare a trovare verbi difettati.
Buona critica a tutti.
Gianmarco